Le origini di Casigliano sono assai remote, secondo degli scrittori latini Appiano e Dione alcune legioni di soldati furono spedite a Todi da Ottaviano e seguiti dalle loro famiglie si sparsero nel territorio gettando le fondamenta delle presenti ville e castelli, la maggior parte delle quali situate in ridenti colline addossate a monti rocciosi.
Casigliano venne così fondato dalla gente CASILENA che costruì una villa romana chiusa da mura. L’aspetto attuale è quello di un borgo medioevale dove spicca il castello edificato nel 1519, con funzione residenziale, contiguo alla preesistente Rocca che si erge al suo interno.
Al centro del borgo c’è la chiesa parrocchiale di S. Biagio, dove nella cripta sottostante si trovano allineati i sarcofagi di alcuni appartenenti alla famiglia degli Atti.
I sarcofagi sono di marmo bianco con ai lati il monogramma cristiano circondato da una corona di spine, gli stemmi degli Atti che hanno il fondo diviso orizzontalmente, con a destra un leone in piedi e a sinistra tre fasce ed una stella in alto.
Nei sepolcri riposano le ossa di Virginia dei duchi Aquitani, moglie di Angelo Atti e parente dei Cesi di Acquasparta, Ludovico degli Atti prode e celebre guerriero, Cecilia Sforza madre di Angelo e le ossa delle sorelle.
Sorge ad una distanza di 6 Km da Acquasparta in direzione Spoleto, in prossimità del valico. E’ un piccolo borgo in mezzo ai boschi ed ai margini della conca originata dalla Dolina del Tifene.
Nel medioevo era un castello che poi fu trasformato nel XV sec. Nell’interno del castello è possibile osservare cospicui resti di strutture architettoniche appartenenti all’impianto difensivo medievale tra cui una possente torre cilindrica al centro della quale si apre l’antica porta del castello che è sormontata da uno stemma in pietra della città di Todi; la parrocchiale, del XIII-XIV secolo posta fuori delle mura del castello, non conserva testimonianze di particolare interesse
A 2 km di distanza da Acquasparta la piccola frazione conta oggi circa cento abitanti. Dell’antico impianto castellano si vedono ancora i resti di due rocche di modeste dimensioni in origine sede di guarnigione.
Di età medioevale, sono ora sede di residenza e attività agricola. Della prima rocca originariamente a pianta quadrangolare con torri sugli angoli, rimane visibile attualmente solo il rudere di una torre.
Della seconda rocca sussistono due torri quadrangolari unite da un corpo più basso con corte interna.
Intorno al mille Configni faceva parte delle terre Arnolfe ma il 22 gennaio del 1277prometteva fedeltà e vassallaggio al comune di Narni offrendo, come consueto per la festa di S. Giovenale un cero di due libbre.
Successivamente sottomesso agli Orsini , che eseguirono opere di fortificazione, ritornò ancora a Narni per volere di Clemente XI.
Da Configni è possibile ammirare in lontananza Todi con il suo S. Fortunato e la Bramantesca Consolazione.
Si vedono quelle belle catene di monti sulle cui pianure si alternano l’olivo e la vite e le belle valli ricche di vegetazione in cui passa il Tevere incoronato da pioppi; tutt’intorno si snodano tutte le città e castelli che offrono un paesaggio vario e vasto che invita alla contemplazione.
Il piccolo centro era in origine denominato Gallicitoli o Gallicitulo ma successivamente per motivi sconosciuti cambiò il suo nome: già nel 1414 lo troviamo citato come Firençola.
A partire dagli anni intorno al 1000 è parte delle terre Arnolfe.
Diviene successivamente sede di castellato e nel 1332 conta alle sue dipendenze i comuni di Messenano, Arezzo e Scoppio Pignario.
Nei secoli successivi è soggetto ora a Todi ora a Spoleto.
Attualmente piccolo centro agricolo di 162 abitanti, conserva pochi tratti di mura e le due antiche porte di accesso all’antico castello.
Sull’architrave della porta di una abitazione posta al di fuori della cinta muraria si vede ancora scolpito lo stemma del castello del XIV secolo.
Qui nacque Giovanni di Santuccio di Scagno “de Firencola terrarum Arnulphorum” conosciuto come “mayestro da pietra” e “magister et scultor, sive intagliator marmorum et aliorum lapidum” che fu chiamato a Todi nel 1414 dove morì dopo 44 anni di fervida attività lasciando, tra l’altro, la magnifica facciata della chiesa di San Fortunato.
Nella sua lunga operosità in Todi il Maestro di Firenzuola si avvalse anche di altri artisti spoletini quali i nipoti Bartolo d’Angelo di Agostino e Matteuccio di Pietro di Santuccio e del maestro Mariano di Antonio; elementi questi che ulteriormente ci confermano la continuità di una attiva e feconda scuola di scultura spoletina.
Dell’antico castello si conservano pochi tratti di mura e le due porte di accesso.
Nell’architrave della porta di un’abitazione posta fuori delle mura è scolpito lo stemma del castello del XIV secolo.
Il castello, sorto a Sud-Ovest di Spoleto sulla cima di un monte, fu costruito a forma di rettangolo allungato, con possenti torri ai quattro angoli, al fine di fortificare un preesistente nucleo abitato.
L’abitato, per la sua quasi totalità, ricade all’interno delle mura. Le costruzioni in pietra locale, sono separate da strade strette e piccoli slarghi. Caratteristiche sono le pietre bucate, inserite nelle mura per legarvi gli animali.
All’interno ci sono due piazze contrapposte, una denominata del Palazzo della Comunità, dall’architettura severa e imponente, e l’altra più piccola della Pieve di San Biagio del XI sec. con una facciata caratteristica e semplice al tempo stesso.
La prima notizia certa è del 1093; ebbe giurisdizione, come castellato delle Terre Arnolfe, su Colle Aiano, Fogliano, la Villa Campi e la Villa Paganica.
Del suo passato di ricco centro politico ed economico possiamo ancora osservarne cospicue testimonianze: parte delle mura di cinta, due possenti torrioni, caratteristiche abitazioni medievali con porte e finestre in pietra bianca, la porta di accesso al castello, che fino a qualche anno fa era sormontata dallo stemma della comunità, e soprattutto il caratteristico palazzo della Comunità.
All’interno delle mura castellane si trova la chiesa di san Biagio, appoggiata all’antico mastio del castello, che già prima del XI secolo risulta soggetta alla chiesa di san Giovanni Battista di San Gemini; nel 1093 divenne Pievania e nel 1217 fu sottoposta alla chiesa di Santa Maria in Rupino.
E’ a due navate e conserva mediocri affreschi del XVI secolo. Prima di guadagnare l’entrata del castello incontriamo la modesta Chiesa della Madonna del Fiore sorta intorno al 1670 e nel cui interno sono due affreschi datati 1673.
Presso il cimitero si trova la chiesa di San Giovenale nei cui pressi fu rinvenuto un importantissimo frammento di sarcofago paleocristiano in marmo, della seconda metà del secolo IV, ora conservato nel Museo Civico di Spoleto, che appartenne alla matrona romana Ponzia la quale, nel recarsi a Treviri, morì cadendo dal cocchio.
Del sarcofago di Ponzia, che il Vescovo di Spoleto Lascaris vide nel 1712 “hinc inde ad hoc altare” cioè nei pressi dell’altare della chiesa, ce ne sono pervenuti due grandi frammenti del fronte anteriore; nella parte centrale che è mutilata, è il mezzo busto del Salvatore con le tracce del monogramma Costantiniano ed il libro della legge aperto; negli angoli sono due figure diademate e vestite con abito talare; nei riquadri, in due tabelle ansate, due lunghi distici che ricordano appunto l’incidente accaduto a Ponzia in località imprecisata.
E’ una località di 425 abitanti a 6 km di distanza ed è la frazione più importante del comune di Acquasparta perché nell’ ambito dei rapporti amministrativi con il capoluogo è l’ unica sede di delegazione comunale ,con l’ufficio postale e la condotta medica.
Il paese adagiato sulla costa dei Monti Martani a dominio della pittoresca valle del Naia offre un caratteristico borgo medioevale del XII secolo.
L’ antico nome PORCARIA testimonia l’esistenza in questa zona, ricca di boschi adatti al pascolo dei maiali, di un primitivoinsediamento pastorale e compare per la prima volta nel 1093 quando i discendenti del conte Arnolfo donarono all’abbazia di Montecassino due monasteri con i loro annessi “in curte de Porcaria”.
Il centro munito di un sistema di robuste fortificazioni diventa una delle principali località delle terre arnolfe. Nel 1495 Portaria fu costretta a sottomettersi al comune di Spoleto a causa delle scorrerie dei ternani e dei tudertini e per difenderla Spoleto si avvalse dell’’aiuto del celebre capitano Bartolomeo d’Alviano il quale spedì numerosi fanti e successivamente un commissario perché risiedesse stabilmente in Portaria.
Nel 1540 Giovan Giacomo Cesi marito di Isabella figlia di Bartolomeo d’Alviano, cedette a Pier Luigi Farnese il castello di Alviano ricevuto in dote dalla moglie in cambio di Acquasparta e Portaria, acquistate fin dal 1550 dalla Camera Apostolica per 6000 scudi.
Di questo antico castello Arnolfo restano importanti resti della Rocca,avendo pressoché intatta la cinta delle mura castellane.
Nell’interno del paese al complesso urbanistico medioevale si inseriscono opere rinascimentali della fine del XVI secolo dovute all’illustre famiglia Cesi.
Di particolare rilievo nel tessuto urbanistico di Portaria è l’antica piazza “Giuseppe Verdi” pavimentata a riquadri di travertino e spinata in laterizio su cui si innesta la TORRE DELL’OROLOGIO del 1200 restaurata nel 1600 e successivamente nel 1967 dalla Sovraintendenza di Perugia, ad essa fa riscontro il pozzo fatto costruire dal Duca di Acquasparta che rimase in uso fino agli anni immediatamente successivi alla seconda guerra mondiale.
La torre è sovrastata da una sopraelevazione e conclusa da pinnacoli e da una cuspide che contiene la campana ed è decorata da una cornice di beccatelli; l’orologio è di recente collocazione.
Al di sotto della piazza il pozzo ha una cisterna grande quanto la stessa utilizzata come rifugio. Si può ammirare la lapide della posta sostituta dell’originale più grande asportata circa 60 anni orsono e conservata al Ministero delle Poste e Telecomunicazioni a Roma, datata 1674 fu la prima cassetta postale in Italia.
Si dice inoltre che durante il ducato di Lucrezia Borgia a Spoleto la stessa alloggiasse a Portaria con il suo seguito in una delle caratteristiche case costruite in pietra locale sulla piazza.
All’interno delle mura presso la porta Spoletina, così chiamata per indicare la via di Spoleto ai pellegrini provenienti da Roma lungo la via Flaminia, é situata la CHIESA DEI S.S. FILIPPO E GIACOMO.
La sua origine risale ad alcuni decenni dopo il mille, per la sua costruzione fu usato materiale asportato dalla città di Carsulae visibile sulla sua rustica facciata in pietra sopra la semplice porta quattrocentesca in cui é inserita la fronte di un sarcofago carsulano con un ampolla centrale e due vasi ansati ai lati.
Alla sinistra dell’urna cineraria si trova l’epigrafe in cui compaiono i nomi dei due Santi a cui é dedicata la chiesa.
Nel 1854 l’edificio fu ingrandito, fu abbassato il pavimento e furono asportate le ossa dai sepolcri sistemati poi nell’ossario del convento di Santa Caterina.
L’Arciprete Floridi nel 1623 arricchì la sacrestia di alcuni mobili antichi di legno pregiato. All’interno si trovano tele seicentesche rappresentanti l’ultima cena e i quattro evangelisti. La chiesa presenta un vasto corredo sacrale originale del seicento che addobba altari di stile barocco.
L’edificio sorge sui resti della primitiva chiesa parrocchiale di S. Andrea Apostolo di cui si vedono ancora i resti sparsi, come il bell’arco che si trova adiacente all’ingresso della chiesa attuale. Imponente a completamento dell’edificio é il campanile che fu edificato intorno al seicento.
L’ORGANO
All’interno della chiesa parrocchiale, è stato ristrutturato nel 1991 grazie all’iniziativa del Lions Club di Terni con la consulenza dell’organista di fama internazionale Wijnand Van de Pol ad opera della ditta specializzata Pinchi di Foligno.
L’organo risale al 1796 ed è un opera originale dell’organaro Aldobrando Fedeli erede di una famiglia di organari marchigiana.
Aldobrando costruì l’organo nella chiesa di S. Gerolamo in Posterula ad Amelia e fu trasportato nel 1862 a Portaria quando fu acquistato dai Padri Agostiniani di San Gemini in quanto fu costruito originariamente per la chiesa di S.Giovanni Battista.
E’ un piccolo villaggio di appena 98 abitanti posto vicino Casigliano in cima ad una collina alla sinistra del Naia.
Prende molto probabilmente il suo nome dal termine originale “Roseto”.
Degno di menzione è l’antico castello medioevaleoggi adibito a fattoria con una sola porta di ingresso.
Dalle finestre delle case lo sguardo spazia in un panorama di bellezza senza uguali, sulle coste si arroccano i vecchi paeselli ancora cinti dalle mura e da baluardi diroccati e circondati da un campanile.
Nel 1250 Rosaro seguì la sorte dei vicini villaggi e castelli, subì saccheggi da parte delle fazioni ghibelline della città di Todi.
Attraverso Rosaro, Todi era fortemente interessata al controllo della via Ulpiana, chiamata nel medioevo “Via Strata o Pietrosa o delle Sette Valli”, che giungeva presso San Gemini in un nodo di notevole importanza strategica costituito dall’innesto sull’antico tracciato della Flaminia e all’incrocio con la via Romana di Spoleto e una strada proveniente da Terni.
Il dominio di Rosaro passò a Ludovico degli Atti signore di Casigliano.
Estinta questa famiglia tornò alla Camera Apostolica e nel 1607 con Sismano fu venduto alla casa Corsini.
La chiesa parrocchiale edificata sopra le antiche mura castellane è dedicata a S. Lorenzo ed ha una sola navata con tre altari.
Il campanile è di travertino e venne innalzato nel 1736 dal parroco Don Carlo de Silvis.
Il castello medioevale dello Scoppio deve il suo nome, derivato dal latino “scopulus”, alla particolare configurazione dell’elevato sperone roccioso su cui poggia che, come uno scoglio emerge isolato dalla pianura, a ridosso dei monti Martani a circa 15 km da Acquasparta.
Intorno al 1000 entra a far parte dei possedimenti degli Arnolfi e delle terre Arnolfe seguì sempre la sorte.
Nel 1710 il piccolo centro contava 25 famiglie, oggi restano solo 8 persone in quanto fu abbandonato in seguito ad un forte terremoto.
Conserva tuttora vasti tratti della cinta muraria trecentesca e la piccola ma interessante chiesa di S. Pietro al cui interno troviamo pochissimi frammenti di pregevoli affreschi attribuiti al pittore Spoletino Piermatteo Piergili.
Altri due affreschi sono ai lati dell’arco di trionfo raffiguranti: quello di destra Santa Lucia, datato 1423, e quello di sinistra San Michele Arcangelo che uccide il drago sempre del XV secolo. In alto, al di sopra dell’affresco datato 1423, è la scritta DOMINUS PETRUS MATHE../DE SPOLETO PINXIT che testimonia l’operosità nella chiesa di Piermatteo Piergili il quale, con probabilità, non si limitò a dipingervi la ricordata madonna con Bambino; questa intuizione scaturisce dal constatare la lontananza della scritta dall”unica sua opera rimastavi.
Ai lati della parte absidale, sopra una scritta del 4 giugno 1576 che ricorda uno dei molti restauri cui fu soggetta la chiesa, sono due interessantissimi affreschi rappresentanti San Pietro e San Paolo.
Sopra la mensa dell’altare dedicato a san Michele Arcangelo è la scritta SUMPTIBUS ECCLESIAE TEMPORE DOMINICI VALERY RECTORIS/DE VILLA PRAETARIARUM ARQUATAE – A.D.M D CCLIV.
Degni di nota sono anche gli affreschi che interamente ricoprono l’abside, tutti della seconda metà del XV secolo: nel catino, la Resurrezione (molto frammentaria); nel semicatino San Sebastiano, San Gregorio(?), San Rocco, un Santo vescovo e una Santa orante.
Sotto gli affreschi del semicatino, a destra, affiora a tratti un più antico affresco dei primi anni del XV secolo che doveva estendersi al soprastante catino e forse rappresentante San Michele Arcangelo.
Nel campanile a vela, posto in prossimità dell’abside, è la data 1525.
Pagina aggiornata il 06/06/2024